E` un mese che c’è il sole. Cielo azzurro limpido, poche nuvole morbide e bianche. Caldo, vabbè, ma non è questo che ci interessa. Comunque, per un mese ci sono state le condizioni ideali per il tipo di foto che volevo fare. Però la vita si è messa, come al solito, in mezzo: prima mancava il tempo da parte mia causa esami, poi mancava il soggetto da fotografare causa vacanza e impegni.
Alla fine ieri pomeriggio ci accordiamo: facciamo le foto subito o domattina.
Conoscendo la mia sfiga cronica ero pronto a dire “Subito!” quando mi sono ricordato che, pochi minuti prima, mio padre mi aveva già precettato per aiutarlo in un altro lavoro, come al solito senza specificare gli orari precisi ma un generico “più tardi”. La sfiga era già in moto.
Con riluttanza, e memore degli eventi della volta precedente (due minuti prima sole, tiro fuori la macchina fotografica, due minuti dopo pioggia) mugugno un “Domattina, 9.30” e imploro tutti i pantheon a mia disposizione perché non venga a piovere.
Il circolo però non poteva chiudersi così facilmente. Per tutto ieri sera la gente in chat non faceva altro che gufare (“Com è il tempo da voi?” “Ah, qua c’è un po’ d’arietta.” “Potrebbe anche venire a piovere, sai?”) ; ancora una volta promisi stragi e vendette in caso di pioggia.
Poi andai a dormire, mi svegliai alle otto stamattina, guardai fuori dalla finestra e….
Che dire? Me l’ero cercata. Non era venuto nero. Non era venuto a piovere.
Grigio. Piatto, orrendo, triste, uniforme grigio. Grigio fin dove l’occhio può vedere. Grigio che alle nove di mattina sembra di essere in un tardo pomeriggio d’autunno. Grigio che per leggere un libro in camera mia con le imposte spalancate ho bisogno di accendere il lampadario.
Grigio che, più prosaicamente, mal si adatta alle foto sature con sfondo di cielo azzurro e nuvole che intendevamo fare.
Ora, capitemi. Con tutta la buona volontà e pragmatismo scientifico trovo comunque assai improbabile credere che ogniqualvolta io debba fare delle foto il tempo decida improvvisamente e subitaneamente di mutare il suo corso solo per il lasso di tempo preciso in cui mi è concesso di dare mano all’obbiettivo.
Ho offeso qualche dio della sfiga? Avrò pestato la coda ad un gatto? Mi si è rovesciato un barattolo di sale? Devo andare a Lourdes?
E voi mi direte “E vabbè, che palle, rimanda alla prossima volta, ci sarà bene il bel tempo da qui a tre mesi, no?”
Sì, certo; anzi, sono pronto a scommettere che da domani tornerà un sole che spacca le pietre e che non se ne andrà per diverse settimane.
Perché? Perché il mio soggetto se ne parte domani per andare tre mesi in Argentina.
E così la saga della sessione fotografica infinita continua…